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Nel mistero di Charlotte

A trent’anni esatti dalla morte, il Teatro San Materno ricorda la sua affascinan­te fondatrice

- di Claudio Lo Russo

Ha costruito un teatro, ricercato una sua espressivi­tà, vissuto un’esperienza della danza unica. Donna di cultura, ne ha portato alcuni protagonis­ti ad Ascona. Tiziana Arnaboldi ci spiega chi era Charlotte Bara.

A quanto risulta, Charlotte Bara non ha lasciato video del suo lavoro, non appunti o riflession­i sulla sua ricerca d’artista, non una scuola o una corrente espressiva, né studi altrui sulla sua danza. Ha lasciato delle poesie e alcune fotografie, custodite nel suo archivio ad Ascona. E ci ha consegnato un teatro, il San Materno, concepito a misura della sua personalit­à. Tiziana Arnaboldi, coreografa e danzatrice, che oggi ne è direttrice, in gioventù ha a lungo coltivato il desiderio di conoscere Charlotte Bara. Ma, dopo le sue prime esperienze all’estero, ha mancato l’appuntamen­to: la “danzatrice sacra” è morta il 7 dicembre 1986, poco prima del suo rientro in Ticino. Ora, a 30 anni esatti, il suo teatro la ricorda con uno spettacolo ideato dalla stessa Arnaboldi, ‘Danza e mistero – La luce come rigeneratr­ice del gesto’, che andrà in scena domani alle 20.30 e domenica alle 17. A introdurlo, nel Castello San Materno in cui abitò la stessa Bara, una presentazi­one sulla sua figura curata da Michela Zucconi Poncini. In scena ci saranno tre danzatrici: Eleonora Chiocchini, Marta Ciappina e Valentina Moar. Negli ultimi due anni il San Materno è ritornato a quel dialogo fra forme espressive, con al centro la danza, che si trovava alle sue origini, fine anni 20. Allora fu Charlotte Bara a plasmarlo, forte delle sue amicizie, fra cui Jung, Rilke, Jawlensky, Klee e D’Annunzio. Pur restando una figura a sé, come dice Tiziana Arnaboldi, la “ballerina gotica” ha affascinat­o molti artisti, non solo danzatori. Per questo spettacolo la coreografa locarnese si è consultata con la nipote di Bara, colei che ne conserva la memoria più viva. In scena, fra corpi e video, ci saranno infatti le musiche più care alla “ballerina delle cattedrali”, fra cui Bach, Pergolesi e il trionfo delle Camelie composto per lei nel 1924 da Leo Kok. Perché tre danzatrici? «Perché ciascuna potesse cogliere dei frammenti di Charlotte Bara, trasposti nel proprio corpo, senza dover diventare lei. Due portano l’estetica, una la sua forza interiore. Per una sola danzatrice sarebbe stato un peso troppo grande».

L’autenticit­à fra passato e presente

Osservando le immagini con le sue posture ieratiche, a tratti ironiche, ispirate dalle danze orientali e dal suo personale senso del sacro – immagini da cui sono partite Arnaboldi e le sue danzatrici per ricostruir­e il mondo di Bara – chiediamo quale fosse l’anima del suo lavoro: «Le mani sono il filo conduttore di ogni sua danza, lei diceva che noi respiriamo il mondo attraverso le nostre mani, esse traducono il pensiero più sottile per unire il fisico e lo spirito. Ogni movimento deve vibrare verso il cielo e far parte di un eterno ritmo. Ma soprattutt­o lei è sempre stata sedotta, seguita, dal sentimento della morte: “Più la morte mi accompagna, più amo follemente la vita, più capisco quanto la vita è effimera e la accolgo con leggerezza”». Visto il mistero che avvolge Charlotte Bara, come ricostruir­e il suo mondo espressivo? «Prima di tutto devo dire che sono sette anni ormai che vivo questo luogo, quindi ho potuto assaporarn­e l’atmosfera, sentire che qui si è prodotto qualcosa di speciale, di magico. Adesso è venuto il momento di entrare in ciò che lei ha fatto, ed è stata una sorpresa scoprire in questa gestualità una forza incredibil­e, senti delle vibrazioni interne. Quello che ho provato a fare è stato poi di trasporre queste immagini statuarie, i suoi gesti, in una dinamica contempora­nea. Ho cercato un dialogo fra passato e presente, perché credo che un danzatore debba portare la sua autenticit­à, non ricreare o scimmiotta­re qualcosa di preesisten­te. Provando su di te questo lavoro di Charlotte Bara, scopri che in ogni gesto, nella posizione di ogni dito c’è una precisione incredibil­e». Una rivoluzion­aria solitaria? «Sì, lei si è ispirata molto a Isadora Duncan, che per prima, togliendos­i le scarpette, ha rotto tutti gli schemi classici. Charlotte però era una donna misteriosa, conosciuta per questo suo modo di porsi nella dimensione del sacro, era unica».

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Charlotte Bara, ‘danzatrice sacra’

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