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BALLETTO Fra la spiritualità orientale e le fascinazioni dannunziane, scopriamo un personaggio singolare del primo Novecento, simbolo di quell’unione fra arti « alla latina » auspicata dal Vate. Charlotte Bara, la « santa ballerina » di Carlo Piccardi Charlotte Bara può essere considerata una delle ultime esponenti della danza libera, dell’arte coreografica sciolta dalle regole e dagli schemi che la vincolavano alla disciplina di una classica impersonalità. Nata a Bruxelles il 20 aprile 1901 in una famiglia di origine germanica – il padre (Paul Bach- 46 musica 324, marzo 2021 rach) era un ricco mercante di tessuti –, quella che sarebbe diventata l’ideatrice della Scuola « für Ausdruckgestaltung und Menschendarstellung » di Ascona fu iniziata alla danza classica da un’allieva belga di Isadora Duncan. Fu quindi fin da subito indirizzata a ricercare nel gesto la via per accedere ai misteri dell’interiorità. Lo testimonia un ricordo degli anni in collegio delle sue Memorie che ne rivelano la predisposizione: « Circondata dai bei giardini e dalle amabili suore mi sentivo avvolta da un’atmosfera di spiritualità, di sogno e di mistero. C’era nel bel giardino del convento un Angelo di pietra e io immaginavo che la notte volasse in cielo per ridiscendere da noi sulla terra il mattino seguente. La lettura dei testi sacri aveva un tale ascendente sulla mia immaginazione che vedevo realmente le scene descritte. Le vivevo cosı̀ intensamente ed erano cosı̀ intimamente legate alla mia vita quotidiana che ogni altra cosa del mondo visibile mi sfuggiva. Un giorno appena fuori dall’aula scolastica cominciai a camminare sulla punta dei piedi come se mi alzassi in volo avvicinandomi meglio agli angeli che speravo di incontrare ». Studiò a Berlino con Berthe Trümpy e Vers Skoronel. Successivamente frequentò a Losanna la scuola di Alexander Sakharoff. Nella visione simbolistica dei compiti affidati alla danza particolare importanza assunsero per lei gli influssi delle culture extraeuropee, in particolare l’incontro con le danze religiose giavanesi portate in Europa dal principe Raden Mas Jodjana, « il miglior ballerino mistico » secondo il giudizio della Bara, a conferma dei fondamenti religiosi a cui la concezione spiritualistica della danza la stava riportando. Significativo fu anche l’incontro con Uday Shankar, bengalese, pioniere della danza moderna in India. Da tali incontri fu derivato lo stile ieratico, espressivo e religioso che venne elaborandosi progressivamente nell’artista. Le sue prime apparizioni in pubblico risalgono al 1917 a Bruxelles, poi a Rotterdam e Amsterdam nel 19181919. Nel 1918 a Berlino venne subito lodata come eccellente danzatrice mimica dalla critica, che ebbe modo di ammirarla nel teatro da camera di Max Reinhardt. Nel 1920, sempre a Berlino, si esibı̀ nel Theater im Landwehrkasino e nei Kammerspiele des Deutschen Theaters. A Parigi comparve nel 1926 alla Comédie des Champs-Elysées. A Godesberg (Aula des Lyzeums St. Antonius) si esibı̀ nel 1926 e nel 1927. Quello che potrebbe venir definito come il « secondo stile » della Bara, si ispira preferenzialmente alle leggende medievali, alle sacre rappresentazioni medievali della Passione e alle eroiche figure della agiografia cristiana. Si precisano nel contempo influssi culturali in rapporto con la pittura prerinascimentale e rinascimentale: dal Beato Angelico a Holbein. La Danza macabra interpretata dalla Bara prende a prestito significati culturali e spirituali dalle leggende medievali e insieme riprende elementi costumistici della pittura tedesca. Nella sua nuova concezione quasi sacrale, la danza della Bara ottiene consensi a Vienna, Parigi, Firenze. La prima rappresentazione di Charlotte Bara nel Ticino ebbe luogo al Teatro Kursaal di Locarno nel 1922: vi comparivano interpretazioni danzate di musiche di Chopin, Grieg, Granados nella messinscena di Danza egiziana e Farfalla morente. Nel 1924 partecipò alle manifestazioni della Festa delle camelie a Locarno danzando, su musiche di Leo Kok e testo di Silvio Sganzini, una coreografia per « Il trionfo della camelia », con scene e costumi ideati da Alexan- dre Cingria nell’allestimento di René Morax. Nel 1926, dopo l’acquisto da parte di suo padre del Castello di San Materno, si fece conoscere anche ad Ascona con danze mistiche su musiche di Scarlatti nel Teatro del Collegio Papio. Risalgono a quegli anni i rapporti di reciproca stima tra l’artista e i Padri Benedettini che dirigevano il Collegio, per cui l’artista di adozione asconese venne chiamata a Einsiedeln per allestire la « Ridda degli angeli » nel Gran Teatro del mondo di Calderon. D’altra parte molte sue danze Le mani di Charlotte Bara musica 324, marzo 2021 47 CHARLOTTE BARA mistiche e sacre facevano riferimento al patrimonio spirituale del cristianesimo, alle leggende dei santi, alla passione di Gesù, alla Madonna, ma anche alle figure eroiche della cristianità come Giovanna D’Arco, al punto che negli anni della maturità, sceglierà di diventare cattolica facendosi battezzare proprio ad Ascona. Tra il 1927 e 1929, nel parco del Castello di San Materno, su progetto dell’architetto Karl Weidemeyer di Brema il padre della Bara fece costruire il primo moderno teatro da camera della Svizzera, un teatro-scuola per una visione integrata di ogni forma espressiva collegata con la danza e con la musica. « Rifiutata ogni forma consueta di arte settoriale, scopo della scuola è la formazione alla danza espressiva delle condizioni interiori dell’ani- 48 musica 324, marzo 2021 mo, la creazione di nuovi mezzi scenici per la rappresentazione di spettacoli d’arte » si legge nel prospetto della scuola Bara del Teatro di San Materno. La musica è intesa come fondamento – non già pretesto – della danza che, sotto la direzione di James Simon di Berlino, raggiunge l’esecuzione virtuosistica fino ai tentativi di improvvisazione personale. Oltre alle proprie danze sempre rinnovate sui canovacci mistico-religiosi a lei congeniali, Charlotte Bara invitò nel suo atelier artisti di tutto il mondo. Vi diedero spettacoli di danza il giavanese Raden Mas Jodjana, la sezione di arte drammatica del Goetheanum di Dornach (spettacoli euritmici di poesia e musica), Joe Milahy, Tatiana Barbakov, Sasha Leontiew. Vi tennero concerti il Quartetto Busch, Claudio Arrau, Rudolf Serkin. Vi furono ospiti Marco Enrico Bossi e Arturo Toscanini. Diversamente dai diversi tentativi culturali del Monte Verità di Ascona, che mai si integrarono nel tessuto culturale lombardo e ticinese, è da rilevare il carattere di non-estraneità alla cultura italiana del suo esperimento innovatore e il felice incontro della sua nuova interpretazione delle arti del movimento, della parola, della musica con insigni esponenti della cultura italiana coeva: incontro, in verità, più ricco di promesse che di realizzazioni. L’organista-compositore Marco Enrico Bossi, ad esempio, entusiasta della sacralità della sua arte di cui c’erano stati esempi significativi in chiese riformate d’Inghilterra, aveva proposto alla danzatrice asconese un tour di rappresentazioni di danze sacre nell’America del Nord, dove l’avrebbe accompagnata con le sue interpretazioni organistiche; la proposta non poté essere realizzata per l’improvvisa morte del musicista. Ancor più significativo appare il rapporto con Gabriele d’Annunzio, già celebre per aver composto in francese per Ida Rubinstein il famoso testo poetico del Martyre de Saint Se´bastien, testo esaltato dalle raffinate alchimie impressionistiche di Debussy. « Elle sait par quels myste`res surgissent des profondeurs les plus belles clarte´s », disse di lei l’Imaginifico, che nel 1924 la volle al Vit- CHARLOTTE BARA toriale. Ispirandosi ai gotici ornamenti e all’antica pittura italiana la Bara vi aveva interpretato con mistico incantamento le sue danze gotiche: « Elle a e´te´ berce´e sur les genoux de la musique et dans ses danses gothiques son corps est comme un grand orgue vivant avec tous ses re´gistres ». Alla « santa ballerina » il poeta promise le sue visioni danzate: « J’ai invente´ une danse pour vous cette nuit en reˆve ». Autore del Martyre de Saint Se´bastien, destinato alla danzatrice Ida Rubinstein, d’Annunzio probabilmente intendeva rinnovare attraverso la Bara qualcosa di simile a quel tentativo di opera d’arte totale concepibile solo su basi mistiche. La dernie`re colonne du Temple e L’Arbre se´raphique et les Oiseaux du ciel sono i titoli delle danze affidate dal poeta alla giovane danzatrice che lo intrattenne al Vittoriale con le sue composizioni egizie e indù che più gli interessavano, poiché d’Annunzio (come scrive Anton Giulio Bragaglia in un capitolo del suo Jazz Band [1929], dedicato alla Bara) « con le danze di colore asiatico vedeva nella trasfigurata sacerdotessa la facoltà dei fachiri, che sostengono prodigiosamente gli sforzi estremi senza parere, e che possono, quando vogliono, mutare di volume, farsi giganti e tornare piccini, allungarsi o ingrandirsi spaventevolmente ». Affascinato dai movimenti delle sue mani spirituali, nel 1926 d’Annunzio le estese un nuovo invito, sempre al Vittoriale, per farle incontrare Gian Francesco Malipiero. L’intenzione era quella di sollecitare il compositore a mettere in musica una serie di leggende a lei dedicate. Non se ne fece nulla, probabilmente anche in quanto il risvolto spiritualistico non poteva più incantare l’arte di Malipiero, ormai coinvolta in destini culturali impegnati ad affrontare il mondo moderno di petto. Ella invece non smentı̀ mai la matrice simbolistica della sua arte. Ad Ascona composero musiche per i suoi spettacoli Max Ettinger, Guido Lorenzo Brezzo e Walter Lang. Gli asconesi ricordano ancora le sue ultime apparizioni negli anni ‘50 quando, insieme con la cantante e musicista Olga Schwind, trasformava in gesti carichi di enigmi le danze del Medio Evo. Ciò avvenne dopo la riapertura del Teatro San Materno, rimasto inattivo a seconda guerra mondale inoltrata e negli anni immediatamente successivi. Riaprı̀ nel 1952 con uno spettacolo di musica antica e danze sacre medievali, dell’epoca gotica e del Rinascimento (La resurrezione delle vergini stolte e sagge e La danza dei beati secondo Dante), avvalendosi della collaborazione di Olga Schwind (1887-1979), cantante e strumentista tedesca residente a Ronco sopra Ascona, dedita fin dai primi decenni del secolo alla rivisitazione della musica antica come liutista e organista. Charlotte Bara, talora con l’ausilio di una piccola compagnia di dilettanti, proseguı̀ tenacemente nella sua proposta di danze spirituali fino al 1958, quasi una liturgia domestica nei giorni che precedono e seguono la Pasqua, accompagnata da una minuscola orchestra di antichi strumenti quali la viella, l’organo portativo, l’arpa dei Minnesänger, il flauto di Pan. Nel 1923 il regista Hans Cürlis, uno dei pionieri del « Kulturfilm », realizzò un film di 12 minuti (oggi perduto) sulle sue danze gotiche. Le proposte artistiche della Bara si susseguirono ad Ascona fino al luglio 1958: si ricordano Anbetung der Engel (1926, ispirato a Hans Holbein, con la partecipazione delle allieve della scuola); Eitelkeit Vergänglichkeit (1932, 1935, 1937, 1951, musica di Gian Francesco Malipiero); Flucht nach Ägypten (1936, 1955, con Sacha Leontiev); Zu Ehren von Fra’ Angelico (1955, musica di César Franck). L’artista morı̀ ad Ascona il & 7 dicembre 1986. musica 324, marzo 2021 49